Il Salone nazionale del Tartufo Bianco pregiato di Città di Castello: un modello di valorizzazione territoriale e filiera integrata

Nel panorama delle fiere italiane dedicate al tartufo, il Salone Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato di Città di Castello rappresenta un caso di studio significativo per capacità organizzativa, approccio territoriale e visione sistemica.
Giunto alla 45ª edizione, l’evento si conferma come punto di riferimento per la promozione del tartufo bianco dell’Alta Valle del Tevere e, più in generale, per il comparto delle produzioni d’eccellenza legate al bosco e alla micologia spontanea.
(biancopregiato.it)

Tradizione e innovazione nella filiera del tartufo

La manifestazione nasce con l’intento di valorizzare l’intera filiera del tartufo, dal tartufaio al ristoratore, dal ricercatore al consumatore, integrando competenze tecniche, pratiche sostenibili e strategie di promozione turistica.
L’obiettivo è chiaro: rafforzare il posizionamento del tartufo bianco pregiato umbro come prodotto identitario, sostenibile e ad alto valore aggiunto, mantenendo al contempo un forte legame con le radici culturali del territorio.

Il Salone si colloca nel solco delle politiche regionali di valorizzazione delle aree interne e dell’agroalimentare di qualità, diventando un laboratorio permanente di confronto tra enti locali, associazioni di categoria, imprese e università.

Un format esperienziale e tecnico

L’edizione 2025 — in programma dal 31 ottobre al 2 novembre — propone un articolato calendario di appuntamenti che alternano momenti divulgativi, tecnici e promozionali.
Oltre al mercato dedicato ai tartufi freschi e ai prodotti derivati, il Salone ospita:

  • Laboratori sensoriali e analisi organolettiche sul tartufo bianco pregiato, finalizzati alla conoscenza dei parametri qualitativi e delle caratteristiche aromatiche.
  • Show cooking professionali, incentrati sulla corretta manipolazione e valorizzazione del prodotto in cucina, con particolare attenzione alla conservazione del profilo aromatico.
  • Masterclass tematiche dedicate all’abbinamento del tartufo con oli, vini e materie prime locali, in un’ottica di integrazione fra filiere umbre d’eccellenza.
  • Laboratori formativi per studenti e operatori, volti a trasferire competenze in materia di ricerca, tracciabilità e tutela della risorsa tartufigena.
  • Gara cinofila di cavatura del tartufo, elemento simbolico che richiama la tradizione e l’importanza del binomio uomo-cane nella raccolta sostenibile.
  • Eventi culturali e talk professionali, che affrontano temi di gestione del bosco, impatto climatico e modelli di governance del territorio.

 

Un evento strategico per il sistema del tartufo

Il Salone si distingue per un approccio integrato e multidisciplinare: non una semplice mostra mercato, ma una piattaforma di dialogo che mette in relazione istituzioni, operatori economici e mondo accademico.
Grazie a questa impostazione, la manifestazione contribuisce alla costruzione di una filiera più coesa e qualificata, promuovendo buone pratiche di raccolta, tracciabilità e certificazione del prodotto.

L’iniziativa favorisce inoltre lo sviluppo di nuove sinergie fra enogastronomia e turismo esperienziale, rafforzando il posizionamento di Città di Castello come polo d’attrazione per un pubblico di professionisti, buyer e appassionati di alto profilo.

Impatto e prospettive

L’esperienza maturata nelle precedenti edizioni dimostra come un evento di questo tipo possa generare ricadute economiche e reputazionali concrete per il territorio.
Il Salone non solo stimola la domanda di tartufo e prodotti derivati, ma consolida l’immagine dell’Umbria come area di riferimento per la qualità, la sostenibilità e la cultura gastronomica.

In un contesto in cui la gestione del bosco e la salvaguardia della biodiversità diventano temi centrali, il Salone Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato rappresenta un modello replicabile di governance territoriale: una manifestazione che unisce la valorizzazione del prodotto all’educazione ambientale e alla promozione culturale.

Insomma, il Salone Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato di Città di Castello si conferma come evento cardine nel calendario fieristico italiano e laboratorio d’innovazione per la filiera del tartufo.

La sua forza risiede nella capacità di coniugare dimensione economica, culturale e scientifica, costruendo un racconto coerente del tartufo come risorsa identitaria e sostenibile.
Un appuntamento imprescindibile per chi opera nel settore e desidera comprendere — e anticipare — le nuove traiettorie di sviluppo del “diamante della terra”.

EDITORIALE: Il futuro scavato tra le radici

*di Pietro Guida

Tra stagioni più umide, norme da aggiornare e un mercato sempre più globale, la comunità del tartufo ha davanti a sé una scelta: difendere i boschi o accontentarsi delle quotazioni.

Siamo tornati nei boschi a mezzanotte, come sempre. I cani fiutano, il terreno respira, e il silenzio di ottobre trattiene il segreto che tutti cerchiamo. Quest’anno le piogge hanno ridato fiducia ai trifolau e ai cuori impastati di terra. Ma sarebbe troppo comodo illuderci. La stagione può anche sorridere, il listino può brillare, eppure il destino del tartufo non si misura al chilo. Si misura alla radice.
Il 2025 ci mette davanti tre verità scomode.

La prima: il clima detta il ritmo. Non basta contare i millimetri caduti a fine estate. Bisogna proteggere quel mosaico delicato che fa nascere un buon tartufo: alberi giusti, suoli vivi, micelio in pace. Le ricerche lo ripetono senza romanticismi: le nicchie ecologiche migrano, i confini si spostano. Se vogliamo continuare a chiamare “nostri” i tartufi che raccontiamo da generazioni, dobbiamo curare i boschi come si cura una madre anziana. Non a spot, ma con piani veri. Corridoi ecologici, gestione idrica, difesa dei suoli, lotta agli incendi, tutela delle tartufaie naturali e sostegno a quelle coltivate che ancora rispettano la foresta.

La seconda: le norme arrancano. La legge quadro ha garantito un’ossatura al comparto, certo, ma il mondo è cambiato. Servirebbero strumenti aggiornati su tracciabilità, contrasto ai raggiri, formazione dei cercatori, regole omogenee per la raccolta sostenibile, e un perimetro chiaro tra tutela dell’habitat e iniziativa privata. Alcune regioni hanno mosso passi pragmatici; a livello nazionale si discute di riforma. È il momento di passare dai convegni agli articoli di legge, senza ideologie. La micorriza non vota, ma decide se fruttificare.

La terza: il mercato non aspetta. Spagna, Australia e altri attori presidiano l’offerta con contro-stagionalità e investimenti tecnici. La Cina continua a rifornire il segmento d’ingresso. In questo scenario l’Italia vince solo se mette in campo ciò che nessuno può replicare: paesaggi, biodiversità, cultura gastronomica e un capitale umano unico, fatto di famiglie, cani e boschi storici. Il prezzo è un effetto; la reputazione è la causa. Difendiamo la seconda, e il primo seguirà.

Che cosa proponiamo, allora, come comunità?
Un patto di foresta. Comuni, consorzi, proprietari, associazioni di cercatori e università: adottiamo micro-piani di gestione per le aree tartufigene, con obiettivi misurabili su suolo, acqua, rinnovamento arboreo e biodiversità. I contributi pubblici devono premiare chi certifica pratiche ecologiche e trasparenza in filiera.

Una tracciabilità che racconta. QR code unici, certificazioni serie, storie verificabili dal bosco al piatto. Non marketing vuoto, ma dati accessibili che proteggano il consumatore e valorizzino chi lavora bene.

Scuole di cerca e di etica. Formazione obbligatoria, educazione al rispetto dei boschi, sanzioni per chi danneggia. Il futuro del tartufo passa anche dall’orgoglio professionale di chi lo cerca.

Turismo sobrio, bellezza intera. La festa è giusta se non consuma il luogo che la rende possibile. Eventi e fiere dovrebbero diventare laboratori di sostenibilità, non solo vetrine.

Ricerca applicata. Irrigazione di soccorso mirata nelle tartufaie coltivate, monitoraggi continui di micorrize e suolo, reti meteo locali, sperimentazione su specie ospiti e consociazioni. Scienza al servizio della tradizione.

Se non lo faremo, continueremo a rincorrere i picchi di prezzo come miraggi nel deserto. Se lo faremo, avremo ancora notti di ottobre da raccontare ai nostri figli, con la terra sotto le unghie e la gioia di un profumo che non tradisce.

Il tartufo non è un bene rifugio. È un bene di relazione: relazione tra albero e fungo, tra uomo e bosco, tra comunità e paesaggio. La nostra rivista nasce per custodire questa relazione. Quest’anno, più che mai, chiediamoci non quanto venderemo, ma che eredità lasceremo sotto la lettiera.

Il resto verrà. Come sempre, dal basso. Dalle radici.

Fnati contro la circolare ministeriale: “Il tartufo non si svende”

La Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), tramite il presidente Fabio Cerretano, ha preso posizione contro la circolare emanata dal ministero dell’Agricoltura in materia di commercializzazione dei tartufi coltivati. Secondo l’associazione, il testo non chiarisce ma interpreta la normativa europea, rischiando di compromettere la qualità e l’immagine del tartufo italiano.

I punti di critica

L’associazione sottolinea diverse criticità. La circolare si basa sul regolamento UE 1308/2013 e sulla nomenclatura doganale, ma la FNATI precisa che il codice doganale “indica un bene e non fa discendere alcuna qualificazione al bene stesso”. La circolare, interpretando il regolamento, permetterebbe la raccolta e la vendita di tartufi immaturi, rischiando di “far scadere qualitativamente un prodotto che, invece, al momento è universalmente riconosciuto come eccellenza Italiana”. Inoltre, si temono possibili frodi, in cui tartufi raccolti illegalmente o importati dall’estero potrebbero essere spacciati per prodotti coltivati.

Un altro punto di forte critica riguarda la parificazione tra tartufaie controllate e tartufaie coltivate. La Fnati sostiene che le tartufaie controllate, dove il tartufo cresce già spontaneamente, non possono essere considerate alla pari delle coltivate, che nascono dalla piantumazione di alberi in terreni vergini. L’associazione bolla la definizione di “coltivazione in bosco” come una “locuzione inventata, null’altro che una cialtroneria”.

Un patrimonio da difendere

Cerretano evidenzia come il tartufo non sia solo un prodotto agricolo, ma anche un “patrimonio materiale e immateriale” italiano, riconosciuto dall’Unesco. “Non possiamo e non dobbiamo svenderlo”, ha dichiarato il presidente, “e per questo chiediamo quindi l’annullamento della circolare per salvaguardare il tartufo italiano e per tutelare l’intera collettività e i piccoli centri che beneficiano di questa risorsa”. Il presidente sottolinea inoltre che in determinati periodi dell’anno non si trovano legalmente o con buona qualità alcune tipologie di tartufo, come lo scorzone a gennaio o il tartufo bianco a luglio e paragona la svendita del tartufo, risorsa diffusa per “piccoli centri e… persone che necessitano di arrotondare un reddito”, alla vendita del Colosseo a un privato.

L’associazione sostiene che l’estensore della circolare “va molto oltre i propri poteri” e chiede per questo l’annullamento del documento. Sollecita il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, ad agire in sede europea per difendere il tartufo e per escludere il prodotto naturale spontaneo, comprese le tartufaie controllate, dalle normative del mercato ortofrutticolo.

Ricerca del tartufo, Fnati impugna i regolamenti delle Comunità Montane marchigiane

La Federazione nazionale associazioni tartufai italiani (Fnati), insieme a diversi cercatori, ha notificato due ricorsi al Tar contro i regolamenti per la ricerca dei tartufi adottati dalla Comunità Montana dell’Alta Valle del Metauro e da quella del Montefeltro. Secondo i ricorrenti, le nuove norme limiterebbero l’attività dei tartufai introducendo vincoli e costi aggiuntivi non previsti dalla legge nazionale. In sostanza per accedere a determinate aree particolarmente vocate alla produzione del tartufo come Carpegna, il demanio di Monte Vicino tra Sant’Angelo in Vado e Apecchio, quello di Montiego tra Piobbico e Urbania e quello nei dintorni di Mercatello sul Metauro – bisogna aver chiesto l’autorizzazione e regolarizzato l’attività dal punto di vista fiscale e della rintracciabilità alimentare. C’è poi da pagare un versamento per iniziare la cerca.

“Questi regolamenti ignorano completamente le esigenze dei tartufai che da secoli fanno sì che il tartufo arrivi sulle tavole di tutto il mondo”, hanno sottolineato dalla Fnati, presieduta da Fabio Cerretano. La Federazione ha inoltre ricordato che la Regione Marche è tra le protagoniste del settore e ha contestato in particolare i divieti per i cavatori provenienti da regioni non limitrofe e l’introduzione di una tassa aggiuntiva, che “non trova giustificazione e contrasta con la normativa vigente”.

La Fnati evidenzia come il numero dei cercatori dovrebbe essere stabilito “in maniera scientifica e non arbitraria, senza costi aggiuntivi e senza distinzione di residenza”. La Federazione apre comunque al dialogo: “Siamo pronti a ritirare il ricorso se le comunità annulleranno i regolamenti e mostreranno la volontà di confrontarsi con i tartufai per discutere soluzioni condivise, rinunciando definitivamente a tasse aggiuntive vietate dalla stessa legge regionale”.

News dal mondo del tartufo

  • Asti, sequestrati tartufi neri venduti fuori stagione 

I carabinieri Forestali hanno sequestrato circa mezzo chilo di tartufi neri in un esercizio commerciale della città, poiché messi in vendita durante il periodo di divieto. Il valore stimato del prodotto è di circa 150 euro.

Il commerciante, oltre alla confisca dei tartufi, dovrà pagare una sanzione amministrativa di circa 1.700 euro. La normativa regionale disciplina infatti con precisione tempi e modalità di raccolta e commercializzazione dei tartufi, imponendo periodi di fermo biologico per tutelare la specie e garantirne la riproduzione naturale.

L’operazione rientra nell’ambito dei controlli avviati dai carabinieri Forestali per vigilare sul rispetto delle regole in materia agro-alimentare e per salvaguardare la biodiversità piemontese.

  • Al via il primo Corso Nazionale di Alta Formazione sulla filiera del tartufo

È iniziato ufficialmente il primo Corso Nazionale di Alta Formazione “La filiera del tartufo: dal bosco alla tavola”, promosso dal CREA in collaborazione con il CONAF e con il patrocinio di importanti società scientifiche italiane.

Il programma, articolato in dieci moduli online per un totale di 30 ore, è stato ideato dal Network CREA “tartufi & tartufaie”, nato nell’ambito dell’Osservatorio Innovazione Ricerca e Sviluppo. Il gruppo di ricerca multidisciplinare coinvolge 22 ricercatori e tecnologi appartenenti a sette Centri di ricerca CREA, con l’obiettivo di affrontare in modo integrato le sfide legate alla conservazione, gestione e valorizzazione sostenibile del tartufo e delle tartufaie.

Il corso mira a formare professionisti e operatori della filiera, con un approccio che combina ricerca scientifica, sostenibilità ambientale, buone pratiche agronomiche, trasformazione del prodotto e strategie di mercato. I contenuti spaziano dalla biologia alla gestione forestale, dalla normativa alla commercializzazione, fino a marketing ed export.

Destinatari del percorso sono tartufai e tartuficoltori, agronomi e forestali, vivaisti, tecnici pubblici, studenti universitari e operatori del settore agroalimentare e turistico, per i quali il corso rappresenta un’opportunità di crescita e di formazione specialistica in un comparto strategico per l’economia rurale italiana.

  • Tracciabilità hi-tech per i tartufi: parte il progetto con AI e blockchain

Una combinazione di analisi chimica, intelligenza artificiale e blockchain entra a servizio della tracciabilità dei tartufi. Farzati spa, insieme a xFarm Technologies e alla Fondazione Edmund Mach, in collaborazione con Truffleland (Urbani Tartufi), ha lanciato un progetto innovativo per certificare la provenienza del Tuber melanosporum e del Tuber aestivum.

L’iniziativa è promossa e co-finanziata da BI-REX nell’ambito dei fondi Next Generation Eu (Pnrr) e con il contributo della Fondazione Vrt. Dopo due anni di sviluppo e test, il programma entra ora nella fase di applicazione e diffusione.

Cuore del sistema è la tecnologia BluDev di Farzati, che attraverso l’analisi biochimica, l’elaborazione con algoritmi di intelligenza artificiale e l’archiviazione su blockchain genera per ogni lotto un’impronta digitale unica, garantendone autenticità e provenienza.

Il progetto ha un potenziale rilevante per l’Umbria, tra le regioni italiane più vocate alla tartuficoltura, dove il comparto ha un valore stimato tra i 10 e i 15 milioni di euro l’anno. A livello globale, il mercato del tartufo fresco e trasformato, oggi compreso tra 550 e 600 milioni di dollari, potrebbe superare 1 miliardo entro il 2030, con una crescita annua prevista tra il 6 e l’8%.

La tracciabilità certificata punta a rafforzare la competitività delle imprese italiane, sostenere l’export e posizionare il tartufo sui mercati premium internazionali.

 

Nasce l’associazione Tartufai e Tartuficoltori delle Valli Raio-Aterno in Abruzzo

Nella sala consiliare del Comune è stata costituita la nuova associazione Tartufai e Tartuficoltori delle Valli Raio-Aterno, realtà che si propone di diventare un punto di riferimento per appassionati e operatori del settore nella zona ovest del territorio aquilano e nella città dell’Aquila.

A un mese dalla fondazione si contano già circa sessanta soci, ma l’obiettivo dichiarato è raggiungere le cento iscrizioni entro la fine dell’anno. La partecipazione crescente testimonia l’interesse verso il mondo del tartufo e la volontà di costruire un’organizzazione capace di valorizzare e tutelare una risorsa di grande importanza per l’economia e la tradizione locale.

Contestualmente è stato insediato il Consiglio Direttivo, guidato dal presidente Pierluigi Del Signore e composto dal vicepresidente Daniele Mazza, dal segretario Andrea De Nuntiis, dal tesoriere Orlando Aliucci e dai consiglieri Silvio Carnicelli, Cesare Cipriani, Tito Paolelli, Aldo Di Mario, Sergio Coletti, Simone Fiamma e Stefano Masucci. Una squadra che rappresenta l’intero territorio e che intende lavorare per dare risposte concrete agli iscritti e alla comunità.

Tra le linee programmatiche figurano la promozione dell’amicizia tra i tartufai, la tutela della libera cerca, il rispetto delle regole e degli areali tartufigeni, oltre alla partecipazione a eventi di settore e all’organizzazione di iniziative dedicate.

Il percorso della nuova associazione si apre in un momento di particolare dibattito, legato alla bozza di legge regionale che sta animando discussioni tra appassionati e operatori. La difesa della libera cerca e la richiesta di maggiori tutele per il comparto saranno tra le sfide principali che il sodalizio dovrà affrontare nei prossimi mesi.

Con questa costituzione, le Valli Raio-Aterno si dotano di uno strumento associativo capace di dare voce alle esigenze dei tartufai e dei tartuficoltori locali, rafforzando un patrimonio che unisce tradizione, cultura e risorse del territorio aquilano.

Parte il piano regionale per valorizzare il tartufo: al via il progetto “Sviluppo del tartufo in Sicilia”

Dalla provincia di Agrigento prende avvio un programma destinato a ridisegnare il futuro del tartufo in Sicilia. Con l’attuazione della legge regionale n. 35 del 2020, l’Isola punta a sviluppare un comparto ancora poco esplorato ma ricco di potenzialità economiche, basato sull’individuazione degli ecosistemi tartufigeni e sulla coltivazione di piante micorrizate.

Il ruolo del Coretas

Per dare concretezza al progetto, la Regione ha istituito il Coretas, ufficio di coordinamento regionale dei tartufi, operativo a Cianciana, in provincia di Agrigento. La struttura, composta da micologi, esperti di microscopia e operatori tecnici, ha il compito di guidare la fase di avvio attraverso studi, rilievi e supporto agli operatori. L’attività è già diffusa in tutte le province siciliane e prevede la mappatura delle aree boschive con potenziale tartufigeno. La Regione Siciliana ha istituito il Coretas, l’ufficio di coordinamento regionale dei tartufi di Sicilia, che già opera nella sede Cianciana, in provincia di Agrigento. Fanno parte del coordinamento il funzionario direttivo Destrino Giuseppe Papia, micologo, dai collaboratori Franco Abella, esperto di microscopia, Paolo Manzullo, micologo, e dagli operatori Giovanna Ciraolo e Francesca D’Amico. Ha preso il via l’accordo di collaborazione tra il Dipartimento Regionale dell’Agricoltura, diretto da Fulvio Bellomo, e il Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale, e guidato da Alberto Pulizzi.

Gli obiettivi del progetto

Il piano, denominato “Sviluppo del Tartufo in Sicilia”, mira a valorizzare il demanio forestale e a trasformare il tartufo in una nuova risorsa economica per il territorio. Tra le priorità figurano: identificazione cartografica delle zone idonee; sperimentazione di tecniche innovative di inoculo in relazione alle condizioni pedoclimatiche; istituzione dell’albo delle tartufaie coltivate; controllo e collaudo degli impianti esistenti; definizione dei disciplinari di produzione. Il programma comprende anche la formazione professionale con corsi specialistici e rilascio dei tesserini per la cerca e la raccolta, oltre ad attività didattiche ed educative rivolte alle scuole e al settore della ristorazione.

Le infrastrutture di supporto

Uno degli snodi principali sarà l’adeguamento del centro regionale di conservazione del germoplasma di Valle Maria, a Godrano (Palermo). Qui si prevede la realizzazione di cinque siti sperimentali di circa un ettaro ciascuno, con materiale autoctono inoculato. A supporto è prevista anche la collaborazione del vivaio “Filici” di Cammarata, che potrà contribuire alla produzione vivaistica delle piante tartufigene.

Rete territoriale e prospettive

Il progetto intende inoltre rafforzare la presenza siciliana all’interno dell’associazione nazionale Città del Tartufo, oggi limitata a pochi comuni. L’obiettivo è coinvolgere un numero crescente di amministrazioni locali, soprattutto nei territori montani, dai Nebrodi alle Madonie, dagli Iblei ai Peloritani, dove i boschi potrebbero nascondere nuove risorse tartufigene.

Laboratori e ricerca

Accanto all’attività di mappatura e coltivazione, è previsto lo sviluppo di un moderno laboratorio di microscopia micologica presso la sede di Cianciana. La struttura avrà il compito di garantire supporto scientifico e assistenza tecnica a vivaisti, cavatori e coltivatori. Contestualmente, le aree individuate in Sicilia confluiranno nel catasto nazionale dei terreni tartufigeni, integrando così la rete informativa a livello italiano.

Un comparto in crescita

Il tartufo, da sempre considerato un prodotto d’eccellenza in cucina, diventa in Sicilia una leva di sviluppo agricolo e turistico. Con questo progetto la Regione punta a trasformare una risorsa naturale poco valorizzata in un comparto strutturato, capace di creare nuove opportunità occupazionali e di consolidare il legame tra biodiversità, economia locale e cultura gastronomica.

Un manuale per coltivare i tartufi: l’eredità scientifica di Mattia Bencivenga diventa guida pratica per tecnici e agricoltori

Una sintesi di oltre quarant’anni di ricerca e sperimentazione, tradotta in uno strumento pratico per chi lavora sul campo. È questo il cuore del manuale La coltivazione pratica dei tartufi, presentato a fine settembre nell’aula Magna del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia.

Il volume, firmato dal professor Mattia Bencivenga, già ordinario di Botanica ambientale e applicata dell’ateneo perugino, insieme a Gabriella Di Massimo e Matteo Galletti, nasce dall’esigenza di mettere ordine in un settore in continua evoluzione, ma spesso frammentato nelle pratiche agronomiche.

“Negli ultimi decenni la tartuficoltura ha compiuto passi enormi – ha spiegato Bencivenga – ma molti risultati scientifici non sono stati ancora recepiti pienamente dagli operatori. Serviva un manuale semplice, chiaro e aggiornato, che potesse essere utile ai tecnici e leggibile anche da chi non è specialista”.

Il contenuto del manuale

Con le sue oltre 180 pagine illustrate, il libro descrive in maniera dettagliata la coltivazione delle principali specie di tartufo commercializzabili in Italia, in base alla legge quadro 752 del 1985: dal bianco pregiato al nero pregiato, dallo Scorzone al tartufo uncinato, fino alle varietà meno note come il nero liscio e l’ordinario.

L’obiettivo è duplice: fornire agli agronomi e ai vivaisti un quadro tecnico di riferimento e offrire ai tartuficoltori una guida concreta per progettare e condurre correttamente le tartufaie coltivate.

Una storia di ricerca lunga quarant’anni

La presentazione è stata anche l’occasione per ripercorrere le tappe della tartuficoltura italiana, che proprio a Perugia ha mosso i primi passi. “Tra il 1975 e il 1977 – ha ricordato Bencivenga – insieme al professor Bruno Granetti ci avvicinammo al tartufo dopo aver saputo che in Francia avevano iniziato a coltivare il nero pregiato. Eravamo inesperti, ma iniziammo a fare prove di micorrizazione e nel 1980 impiantammo a Volperino la prima tartufaia sperimentale in Italia”.

Da allora la ricerca non si è mai fermata, alimentata anche dall’impegno dei suoi allievi. Gabriella Di Massimo, che ha dedicato trent’anni allo studio e alla gestione di impianti tartufigeni, e Matteo Galletti, vivaista specializzato in nuove tecniche di produzione delle piante micorrizate, hanno contribuito alla stesura del manuale portando esperienze pratiche maturate sul campo.

Un settore strategico per l’Umbria e non solo

“Il tartufo è un prodotto richiesto in tutto il mondo e, se coltivato correttamente, garantisce reddito alle aziende e alle comunità locali”, ha sottolineato Di Massimo. Non a caso l’Umbria, grazie anche all’eredità scientifica di Bencivenga, è oggi una delle regioni più attive nella tartuficoltura.

Il futuro del settore guarda però anche a sfide ancora aperte. Come ha ricordato Galletti, il tartufo bianco pregiato resta non coltivabile, ma le nuove tecniche vivaistiche e l’applicazione della biologia molecolare hanno permesso di produrre le prime piante micorrizate. “Non abbiamo ancora tutte le conoscenze necessarie per la sua coltivazione – ha spiegato – ma le sperimentazioni avviate potranno gettare le basi per un traguardo che sarebbe storico”.

Un ponte tra scienza e pratica

Il manuale non è solo un’opera tecnica, ma rappresenta la sintesi di una comunità scientifica e produttiva che, partendo dall’Umbria, ha contribuito a fare dell’Italia uno dei poli mondiali della tartuficoltura.

Un testo destinato a diventare punto di riferimento per tecnici, agronomi e tartuficoltori, ma anche un lascito di conoscenze a chi vuole continuare a scrivere la storia di un prodotto che, con la sua rarità e il suo valore, rappresenta un vero e proprio patrimonio culturale ed economico.

La sfida delle salse tartufate: tra industria e artigianato

Quando si parla di tartufo trasformato, le salse tartufate occupano da decenni un ruolo centrale. Sono uno dei prodotti più diffusi tra scaffali e gastronomie, ma spesso anche il simbolo di un fraintendimento: percentuali irrisorie di tartufo, aromi sintetici a mascherare la povertà di materia prima, e un gusto che, dopo poche cucchiaiate, lascia più nausea che piacere.

Su questo terreno, tra “scorciatoie” industriali e artigianalità consapevole, abbiamo chiesto a Federico Virili, fondatore di ITA Truffle, giovane realtà umbra che ha scelto di puntare tutto su autenticità e controllo diretto del prodotto, di raccontarci il suo approccio alle salse tartufate.

«La salsa tartufata autentica si fa con tre ingredienti: funghi, tartufo e olio» spiega Virili. Tutto il resto – additivi, conservanti, aromi – appartiene al mondo dell’industria, dove il costo della materia prima viene ridotto ricorrendo a tartufi esteri di bassa qualità (Bulgaria, Romania) e il “profumo” è garantito da molecole di sintesi.

Il risultato? «Quell’odore forte e invadente che senti appena apri il barattolo non è tartufo: è solo aroma chimico. Ed è lo stesso motivo per cui dopo un paio di assaggi la salsa stanca e disgusta» racconta Virili.

Un settore senza regole chiare

Le salse tartufate sono tra i prodotti trasformati più diffusi della filiera. Eppure, a livello normativo, rappresentano un settore “grigio”: non esiste in Italia né in Europa un disciplinare specifico che definisca percentuali minime di tartufo, criteri di lavorazione o modalità di etichettatura differenziata.
La regolamentazione dei prodotti tartufati, come salse e oli aromatizzati, ricade principalmente nel quadro generale dell’etichettatura alimentare, disciplinata dal Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Sono richieste la dichiarazione degli ingredienti e dei quantitativi, ma non vengono fissate percentuali minime di tartufo né criteri di lavorazione specifici.

Le normative europee e italiane impongono che la dicitura “tartufo” appaia chiaramente in etichetta solo quando il prodotto contiene effettivamente tartufo, e, in caso di aromi o sostituti, deve essere evidenziato l’utilizzo di “aroma di tartufo” o “aroma tartufato”. Tuttavia, la quantità di tartufo utilizzata deve essere dichiarata tra gli ingredienti (QUID – Quantitative Ingredient Declaration), ma non sono fissate soglie o criteri qualitativi minimi.

Le uniche eventuali regole aggiuntive provengono da consorzi privati, disciplinari volontari o indicazioni facoltative stabilite da produttori o associazioni territoriali, ma non sono legalmente vincolanti né uniformemente adottate. In sintesi, le salse tartufate sono oggi regolamentate solo dalle generali normative alimentari e non da un disciplinare specifico dedicato al prodotto.

Il risultato è che, nella pratica, troviamo sul mercato prodotti con 2–3% di tartufo venduti come “salse al tartufo”, con un ricorso sistematico ad aromi di sintesi (di solito 2,4-ditiapentano) che simulano l’odore del tartufo. Conosciuto anche come bis(metiltio)metano, è un composto organico solforato naturalmente presente soprattutto nel tartufo bianco, ma viene spesso ottenuto per sintesi chimica da derivati petrolchimici e usato come “aroma di tartufo” nei prodotti industriali.

Quando l’etichetta riporta “aroma di tartufo” senza ulteriori specifiche, è generalmente questo composto artificiale a conferire il tipico odore e sapore persistenti del tartufo. Il 2,4-ditiapentano riproduce fedelmente la nota aromatica caratteristica, ed è considerato sicuro dal punto di vista alimentare, ma la sua presenza indica un prodotto aromatizzato e non un prodotto dove il sapore derivi dal vero tartufo in quantità sostanziali.

Il valore del territorio e il mercato

ITA Truffle propone due versioni: una classica con l’8% e una gourmet con il 20%, pensata per ristoratori e clienti che cercano un prodotto dal carattere intenso. In questo modo l’azienda traduce in pratica le differenze normative e qualitative descritte in precedenza, offrendo percentuali ben superiori a quelle comunemente presenti nei prodotti industriali.
Virili sottolinea che non ricorre ad aromi di sintesi, ma lavora solo con materia prima fresca, prevalentemente umbra, raccolta da sé o da cavatori di fiducia. «Ogni fase è seguita e assaggiata, proprio come fa uno chef in cucina. È così che mantengo il controllo del prodotto» racconta.

Per Virili, la differenza non si gioca solo sugli ingredienti, ma anche sul rapporto col territorio: «Non importo tartufi dall’estero, lavoro con quelli delle mie tartufaie e, se necessario, con quelli umbri. La qualità è superiore, sia nel profumo sia nel gusto».

Il mercato italiano dei trasformati al tartufo è tra i più sviluppati a livello mondiale. Qui operano colossi con distribuzioni capillari e capacità industriali enormi. In un simile contesto, differenziarsi non è semplice.

La strategia di ITA Truffle punta su educazione e assaggio: «Non basta la pubblicità. Io spiego la differenza tra industriale e artigianale, offro campioni ai ristoratori, e dopo che provano la salsa molti la richiedono. Per ora lavoro sul territorio, ma punto a crescere grazie al passaparola e ai social».

In conclusione, il tema delle salse tartufate mette in luce una questione cruciale per l’intera filiera: come coniugare accessibilità e qualità, volume e autenticità. L’esperienza di Federico Virili e di ITA Truffle mostra che c’è spazio per una proposta artigianale, radicata nel territorio e capace di distinguersi non solo con le parole, ma con i numeri in etichetta e il gusto nel piatto.

Per gli addetti ai lavori, il messaggio è chiaro: la battaglia non è solo commerciale, ma culturale. Sta al settore scegliere se difendere l’identità del tartufo italiano o lasciarla diluire, ancora una volta, tra aromi e percentuali simboliche.

Profondo Rispetto: la 95ª Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba

La 95ª edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba ha scelto come filo conduttore il tema del “Profondo Rispetto”, un concetto universale che attraversa ogni dimensione della manifestazione.
Rispetto per l’ambiente e per gli ecosistemi che rendono possibile la nascita del Tuber magnatum Pico. Rispetto per gli animali, con il cane da cerca – il fedele tabui – riconosciuto come autentico protagonista della tradizione tartufigena. Rispetto per il prodotto, raro e prezioso, valorizzato attraverso un consumo consapevole. E rispetto per il consumatore, tutelato da un mercato trasparente e garantito.

Non solo dunque una fiera di eccellenza enogastronomica, ma anche un modello di etica, sostenibilità e responsabilità collettiva, che pone la cultura del tartufo al centro di un discorso contemporaneo e globale.

Un avvio carico di simboli

Già a fine settembre, con il suggestivo Capodanno del Tartufo tra il 30 settembre e il 1° ottobre, Alba ha salutato l’inizio della nuova stagione di cerca. Il corteo notturno dei trifolao con i loro cani ha rinnovato un rito che intreccia comunità, natura e tradizione, mentre gli appuntamenti culturali hanno offerto riflessioni sul tema del rispetto come chiave di lettura della manifestazione.

Questo momento inaugurale ha ribadito quanto la Fiera non sia solo calendario di eventi, ma racconto corale di un territorio, fatto di persone, saperi e paesaggi.

Il cuore della Fiera: il Mercato Mondiale del Tartufo

Dall’11 ottobre al’8 dicembre il Mercato Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba sarà nuovamente il fulcro dell’incontro tra offerta e domanda. Ogni esemplare destinato alla vendita verrà sottoposto al controllo dei Giudici di Analisi Sensoriale del Tartufo, professionisti formati dal Centro Nazionale Studi Tartufo, che ne certificheranno qualità, freschezza e autenticità.

Per i tartufai, questo presidio è garanzia di trasparenza e valorizzazione del lavoro: il prodotto non solo viene presentato al pubblico come eccellenza, ma diventa veicolo di cultura e fiducia, rafforzando la percezione di un bene raro da rispettare e tutelare.

Tradizione e folclore: l’anima popolare

Settembre ha già regalato momenti di forte identità collettiva con la Bela Trifolera, l’Investitura del Podestà e le cerimonie che precedono la Fiera. Il momento più atteso, come da tradizione, sarà la prima domenica di ottobre con la grande sfilata medievale e il celebre Palio degli Asini, in cui i borghi di Alba si sfidano in un clima di festa e appartenenza.

Seguiranno poi appuntamenti altrettanto radicati: il Baccanale dei Borghi, che trasformerà il centro storico in una locanda diffusa, e il Festival della Bandiera, espressione di un’arte antica che unisce abilità tecnica e spirito comunitario.

Per i tartufai, questi momenti rappresentano più di un contorno folkloristico: sono l’elemento che lega il loro mestiere a una storia secolare, che trasmette valori e custodisce identità.

Esperienze sensoriali e cultura gastronomica tra vino e cibo

Il tartufo sarà raccontato non solo al mercato ma anche attraverso cooking show, laboratori, corsi di cucina e degustazioni guidate. La partecipazione di chef italiani e internazionali, molti dei quali stellati Michelin, rafforzerà la visibilità del Tuber magnatum Pico a livello mondiale.

Quest’anno debutta anche il format “Tramonto Gourmet”, che dal 22 novembre proporrà aperitivi d’autore in abbinamento a vini e cocktail, a conferma della capacità della Fiera di rinnovarsi mantenendo salde le radici.

Un elemento di rilievo per questa edizione riguarda il vino e le cantine del territorio, in particolare il coinvolgimento dell’esperienza Barolo en primeur. Dal 20 al 26 ottobre, alcune cantine selezionate offriranno tasting esclusivi che consentiranno ai partecipanti di degustare in anteprima i vini Barolo e Barbaresco destinati all’asta benefica del 24 ottobre (gestita in collaborazione con Christie’s). Alba Truffle Fair+1 Queste visite guidate permetteranno al pubblico – e agli operatori del settore – di varcare le porte delle aziende, comprendere i processi di vinificazione, le scelte agronomiche e le tecniche di affinamento, nonché di misurarsi con le sfumature organolettiche dei cru.

La sostenibilità come orizzonte

Tra i temi più rilevanti per gli addetti ai lavori, spicca l’attenzione alla sostenibilità ambientale ed economica. Progetti come Sostenibilità Incrociate e Dawn to Earth porteranno ad Alba voci autorevoli per discutere di biodiversità, cambiamenti climatici, equità sociale e futuro delle pratiche agricole.

Il messaggio è chiaro: il tartufo è il simbolo di un equilibrio fragile, che può sopravvivere solo se rispettato e custodito. Per i tartufai, questo significa riconoscere il proprio ruolo non solo come cercatori, ma come custodi di un patrimonio collettivo.

Una Fiera che parla al mondo

Con i riconoscimenti UNESCO – dai Paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, ad Alba Città Creativa per la Gastronomia, fino alla Cerca e cavatura del tartufo in Italia iscritta nel Patrimonio Immateriale dell’Umanità – la Fiera si conferma ambasciatrice di valori e identità a livello internazionale.

Per chi vive di tartufi, questo significa essere parte di una comunità globale che guarda ad Alba come capitale indiscussa del Tuber magnatum Pico.

La 95ª edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba non si limita a celebrare il tartufo come eccellenza gastronomica. È un appuntamento che coinvolge tartufai, istituzioni, cuochi, turisti e cittadini in un progetto corale, dove il rispetto diventa parola guida e impegno concreto.

Per l’associazione dei tartufai e per chi opera nel settore, questa edizione è un’occasione per riaffermare il proprio ruolo di custodi del territorio e della tradizione, protagonisti di una storia che continua a crescere nel segno della qualità, della sostenibilità e della cultura.