Giugno segna l’inizio della stagione dello Scorzone, il tartufo nero estivo (Tuber aestivum), da sempre familiare ai tartufai e ai coltivatori. Ma oggi questo prodotto, per anni relegato a ruoli minori, si sta prendendo una rivincita silenziosa ma concreta. Non è più il fratello “minore” del tartufo nero invernale o del bianco pregiato: è un’opportunità a sé, capace di intercettare le esigenze di un mercato in evoluzione e di una ristorazione sempre più curiosa e tecnica.
Da tartufo “povero” a risorsa strategica
Fino a qualche tempo fa, lo Scorzone era considerato un tartufo di ripiego. Poco aromatico, troppo delicato, venduto spesso sottoprezzo o trasformato in condimenti generici. Oggi, però, il contesto è cambiato. Da un lato, gli chef hanno imparato a valorizzarne le caratteristiche leggere e versatili; dall’altro, la domanda si è ampliata, non solo in Italia ma anche all’estero, dove la stagionalità estiva e il costo accessibile lo rendono interessante per l’export e la grande distribuzione di qualità.
Ma c’è di più. La sua disponibilità in un periodo “vuoto” per gli altri tartufi lo rende una presenza stabile nelle cucine tra giugno e settembre. Per molti operatori del settore, rappresenta una fonte di reddito non secondaria e un banco di prova per sperimentare nuovi canali, nuovi formati, nuove narrazioni.
Cosa cercano davvero gli chef
Parlando con ristoratori e buyer, emergono richieste sempre più precise. Non basta il tartufo: serve il tartufo giusto. E per lo Scorzone, questo significa uniformità nella pezzatura, presentazione curata e freschezza garantita. I clienti finali vogliono affettarlo a tavola, giocare con il profumo mentre il piatto arriva. Per questo il prodotto deve essere esteticamente pulito, facilmente lavorabile, pronto all’uso.
E poi c’è un tema sempre più centrale: la tracciabilità. Gli chef vogliono sapere da dove arriva quel tartufo, in che bosco è stato trovato, da chi. Vogliono raccontarlo, valorizzarlo nel menu, farne un ingrediente con un’identità. È qui che si apre lo spazio per chi raccoglie, seleziona e vende.
Lavorazione, packaging, racconto: così lo Scorzone entra nei menu
Per chi opera nella filiera, lo Scorzone non è solo da vendere fresco. Oggi serve diversificare l’offerta, anche attraverso piccole lavorazioni che ne aumentino la praticità per la cucina professionale.
Le proposte che funzionano?
Kit sottovuoto da 10 o 20 grammi, calibrati per una porzione, ideali per ristoranti e bistronomie.
Affettato conservato in atmosfera modificata, per menu più snelli o piatti fuori carta.
Creme fresche, con percentuali alte di tartufo vero, pronte per antipasti, ripieni, paste mantecate.
Anche i piccoli omaggi o i “campioni” dati a chef emergenti, scuole di cucina, eventi food possono aprire porte inaspettate. Un buon tartufo assaggiato nel contesto giusto crea relazione, memoria, futuro.
Il valore delle parole: come vendere meglio raccontando meglio
Il modo in cui si presenta il prodotto è spesso decisivo. Non basta etichettarlo come “tartufo estivo”. Il mercato, oggi, ha fame di storie. Una provenienza precisa, un habitat unico, la descrizione di una giornata di raccolta con il cane: tutto questo rende un prodotto riconoscibile, differente, credibile.
Per esempio, “Scorzone dell’Appennino Umbro, raccolto nei boschi di roverella a inizio stagione” parla molto di più di un generico “tartufo nero estivo fresco”. E se a questo si unisce un QR code con foto, video o una scheda botanica della zona, il valore percepito aumenta. E con esso, il prezzo.
Estate, sì. Ma non solo.
Oggi lo Scorzone è molto più di un tappabuchi tra il nero pregiato e il bianco. È un ingrediente che ha trovato un suo spazio stabile, grazie anche a una crescente attenzione per la cucina stagionale, locale e sostenibile. Per i professionisti del bosco, per chi coltiva o lavora il tartufo, è un’occasione concreta per rafforzare la propria offerta, fidelizzare i clienti e portare a tavola un prodotto autentico, onesto, ben raccontato.
Il mercato c’è. La qualità anche. Ora serve solo il passo in più: fare sistema, innovare, comunicare. E dare allo Scorzone il posto che merita.
Dopo oltre quarant’anni, l’Italia si prepara a riscrivere le regole su uno dei suoi patrimoni più preziosi: il tartufo. Il nuovo disegno di legge 1412, attualmente in discussione al Senato, punta a dare un quadro normativo organico alla cerca, raccolta, coltivazione e commercializzazione dei tartufi. Il testo, promosso dal senatore Giorgio Bergesio, si ispirerebbe ai modelli di Francia e Spagna, introducendo regole su formazione obbligatoria, tracciabilità, concessioni su riserve private e inasprimento dei controlli.
Il provvedimento, tuttavia, sta generando numerose perplessità contrarietà tra gli operatori del settore. Una delle voci più critiche è quella di Fabio Cerretano, presidente della Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), che ha espresso preoccupazione per le conseguenze del decreto sulle comunità locali e sulla tradizione della cerca libera.
«Come Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani riteniamo che il nuovo decreto legge in discussione al Senato, se così passasse, creerebbe più danni che benefici – ha dichiarato Cerretano – c’è un problema di fondo: viene completamente ignorato il ruolo dei tartufai e quindi cancellata la libera cerca, dei cavatori, e delle associazioni che da decenni si occupano della salvaguardia dell’ambiente e della raccolta sostenibile».
Il Ddl, nella sua versione attuale, riconosce il tartufo come prodotto agricolo e trasforma tutto il tartufo in una coltivazione (in tartufaie private controllate), con benefici fiscali distorsivi e incentivi inutili e dispendiosi. Praticamente il tartufo passa da fungo a patata sminuendo il prodotto stesso (senza nulla togliere alla patata). Allo stesso tempo, limita anzi annulla la cerca su terreni incolti e negli alvei fluviali, restringendo di fatto l’accesso tradizionale a molte aree oggi battute dai cavatori. Una trasformazione che, secondo molte associazioni, rischia di compromettere un equilibrio culturale e ambientale consolidato.
Cerretano si dice contrario a un modello che mette al centro solo l’aspetto produttivo e commerciale. «La Fnati ha chiesto con forza l’apertura di un dialogo con la Commissione Agricoltura e con il Senatore Bergesio, primo firmatario, – che tenga conto delle esigenze delle comunità locali dei tartufai e dell’ambiente. Il tartufo non è solo un prodotto pregiato, ma un patrimonio culturale e naturale che va gestito con buon senso, ascoltando chi lo conosce davvero». Anzi, abbiamo fatto di più, abbiamo consegnato, insieme ad Ati, alla Commissione un fascicolo di modifiche al DDL
Le preoccupazioni non arrivano solo dalla Fnati. In Piemonte, patria del Tuber magnatum Pico, i tartufai denunciano il rischio di una “privatizzazione” del territorio. Anche l’Emilia-Romagna ha chiesto modifiche al testo, temendo che la nuova legge favorisca pochi grandi proprietari e renda la cerca un’attività riservata a pochi autorizzati. Confagricoltura ha accolto con favore l’impianto generale del Ddl, in particolare per le tartufaie coltivate, ma ha chiesto che si mantenga un equilibrio tra produttori, raccoglitori e ambiente.
Fabio Cerretano insiste sulla necessità di ascoltare chi opera quotidianamente nei boschi. «Noi non siamo contro le regole – ha concluso – ma contro le regole calate dall’alto, che non tengono conto della realtà. Questo decreto rischia di trasformare il tartufo in una questione per pochi, mentre dovrebbe rimanere un patrimonio collettivo».
Il disegno di legge proseguirà ora il suo iter in Senato. Nel frattempo, il mondo del tartufo attende di sapere se le proprie istanze verranno finalmente ascoltate, o se la riforma segnerà davvero la fine di un’epoca per i cercatori italiani.
Alla data in cui scriviamo l’articolo si ritiene il dialogo, fermo e concentrato, sia il passo necessario per arrivare al risultato voluto. Nel prosieguo, se gli emendamenti presentati e accettati dai Senatori, non dovessero essere a noi graditi non escludiamo a priori nessuna forma di protesta pacifica e democratica.
Avezzano è stata teatro di un importante incontro pubblico dedicato al futuro del comparto del tartufo, riunendo esperti e tartufai da tutto l’Abruzzo e oltre. L’iniziativa, fortemente voluta dall’Associazione Tartufai della Marsica, si è svolta con l’obiettivo di avviare un confronto costruttivo sulle sfide e le opportunità del settore.
L’evento ha visto la partecipazione di figure istituzionali e associative di spicco, a testimonianza dell’importanza attribuita al tema. Tra i presenti, il sottosegretario all’Agricoltura Luigi D’Eramo, il vicepresidente della Regione Abruzzo Emanuele Imprudente, il presidente Fnati (Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani) Fabio Cerretano e il presidente Catra (Consorzio Abruzzese Tutela e Valorizzazione del Tartufo) Gabriele Caporale. Numerosi anche i rappresentanti delle associazioni di tartufai, giunti per dare il proprio contributo.
“La grande partecipazione è motivo di orgoglio; vedere così tante persone coinvolte dimostra quanto il tema sia sentito”, ha dichiarato Vittorio Letta, Presidente dell’associazione Tartufai della Marsica, “l’incontro ha offerto una preziosa occasione per dare voce ai Tartufai, alle associazioni, a chi il bosco lo vive ogni giorno”. Il dibattito, definito “serio e partecipato”, si è concentrato su punti cruciali per il settore: la proposta di legge Bergesio, la tutela delle tartufaie naturali e l’urgenza di aggiornare le normative vigenti. L’obiettivo è quello di farlo “con buon senso e conoscenza del territorio”.
L’Associazione Tartufai della Marsica si dichiara soddisfatta del risultato raggiunto. “Abbiamo centrato l’obiettivo: portare l’attenzione delle istituzioni sulle reali esigenze del mondo del tartufo”, ha concluso Letta, evidenziando il successo dell’iniziativa nel promuovere un dialogo diretto tra le istituzioni e gli operatori del settore, essenziale per la salvaguardia e lo sviluppo di una risorsa così preziosa per il territorio abruzzese.
Per il vicepresidente Imprudente l’incontro di Avezzano è stato “divulgativo e informativo, dedicato alle novità normative che riguardano il mondo del tartufo. Un’occasione per confrontarsi sul futuro del tartufo in Italia e sulle possibili evoluzioni del settore”.
Nel cuore dell’Abruzzo, una delle regioni italiane più ricche di tartufo bianco pregiato, si sta celebrando un processo che svela il lato più oscuro della ricerca di questo tesoro sotterraneo. A Pescara, davanti al giudice monocratico, è finito un uomo di 77 anni accusato di una lunga serie di reati legati alla “guerra del tartufo”.
Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe deliberatamente avvelenato almeno 11 cani da tartufo tra il 2015 e il 2020, tutti appartenenti a ricercatori concorrenti. Gli animali sarebbero stati uccisi con bocconi avvelenati disseminati in aree boschive frequentate dai cercatori. Il movente? Ridurre la concorrenza nei territori più redditizi per la raccolta del tuber magnatum pico, un prodotto che può raggiungere e superare i 2.500 euro al chilo.
I capi d’imputazione non si fermano alla sola uccisione di animali. L’uomo deve rispondere anche di danneggiamenti alle auto dei rivali, porto abusivo di ordigno incendiario, minacce gravi e detenzione illegale di munizioni. Coinvolto nel procedimento anche un secondo imputato, un 33enne accusato di aggressione su presunto mandato del principale indagato.
A rendere il quadro ancora più inquietante, il fatto che la Procura sia in possesso di un filmato in cui si vede una persona sistemare esche avvelenate e un ordigno sotto un’auto. Anche se la targa non è leggibile, l’auto ripresa coincide con quella posseduta da uno degli imputati.
Il processo, che tornerà in aula a luglio per ascoltare i testimoni della difesa, solleva interrogativi profondi sull’etica e sulla legalità nel mondo della raccolta del tartufo. Un mondo spesso idealizzato, ma che nasconde dinamiche violente quando in gioco ci sono interessi economici altissimi. Come ricordano gli inquirenti, un solo esemplare da oltre un chilo è stato battuto all’asta nel 2019 per 120mila euro.
Il caso di Pescara è uno dei pochi ad essere giunto in tribunale, ma potrebbe rappresentare solo la punta dell’iceberg di una concorrenza spietata che spesso non emerge per paura o mancanza di denunce.
La Puglia si candida ufficialmente a diventare una delle nuove protagoniste italiane nel mondo del tartufo. Durante un recente convegno organizzato da associazioni tartufigene locali, è stato presentato un quadro sorprendente: nella regione sono presenti ben nove varietà di tartufo, distribuite su sette aree tartufigene e in 58 comuni, dal Gargano fino al Salento.
Tra le specie più diffuse figurano lo scorzone, il bianchetto, l’uncinato e il mesenterico, tutte varietà già conosciute e apprezzate nel panorama gastronomico nazionale. Tuttavia, la vera novità sta nell’avere mappato con precisione la diffusione del tartufo anche in territori dove la tradizione tartuficola non era ancora ufficialmente riconosciuta.
Questo censimento e l’attenzione crescente da parte delle istituzioni aprono a scenari interessanti: la tartuficoltura può rappresentare una risorsa economica alternativa, soprattutto nelle zone colpite da crisi agricole, come il Salento, dove l’epidemia di Xylella ha devastato l’olivicoltura.
Durante l’incontro, al quale hanno preso parte agronomi, imprenditori agricoli, esperti ambientali e chef, è stato sottolineato come lo sviluppo di una filiera del tartufo pugliese possa generare valore non solo per il mercato alimentare, ma anche in ottica di turismo esperienziale ed enogastronomico.
La Regione Puglia, intanto, si è detta pronta a sostenere iniziative di ricerca, formazione e promozione. L’obiettivo è chiaro: far emergere un potenziale ancora inespresso e posizionare la Puglia tra le regioni di punta per la produzione e valorizzazione del tartufo italiano.
Per gli amanti del tartufo e gli operatori del settore, si apre così una nuova e promettente frontiera tutta da scoprire.
L’assemblea del Centro nazionale Studi Tartufo ha confermato Antonio Degiacomi alla guida dell’importante realtà che da anni opera per la tutela del settore. I lavori si sono svolti lunedì 20 maggio, nella storica Sala della resistenza del Comune di Alba. È stata l’occasione per fare il punto sull’attività dell’anno appena trascorso e per procedere al rinnovo delle cariche sociali. Degiacomi è stato confermato alla presidenza, mentre il nuovo consiglio di amministrazione è stato costruito in base alla rappresentanza territoriale delle province di Alessandria, Asti e Cuneo, con la partecipazione di amministratori locali, ATL, Camera di Commercio e associazioni di trifolao.
Uno dei momenti più sentiti dell’assemblea è stato il ricordo di Giacomo Oddero, fondatore e presidente del Centro per 15 anni, recentemente scomparso. A rendergli omaggio, con parole cariche di affetto e riconoscenza, sono stati il senatore Zanoletti, Gran Maestro dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba, il presidente dell’ATL Mariano Rabino, il sindaco di Alba, Alberto Gatto e numerosi altri intervenuti.
Tra i temi affrontati nell’assemblea, ha suscitato particolare preoccupazione il disegno di legge n. 1412, presentato in Senato dal senatore Bergesio, che prevede restrizioni alla libera cerca del tartufo. I soci del Centro hanno espresso forti perplessità, sottolineando come questa pratica rappresenti non solo un elemento identitario e culturale, ma anche una risorsa economica fondamentale per i territori vocati. Le osservazioni critiche del Centro sono già state trasmesse e illustrate alla Commissione competente del Senato.
Nonostante un 2024 segnato da una produzione in calo di tartufi in Piemonte e a livello nazionale, l’attività del Centro è stata intensa e ricca di iniziative. Tra i momenti più significativi, il convegno nazionale organizzato durante la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, intitolato “Forza e fragilità della filiera del Tuber magnatum Pico”, ha acceso i riflettori sui rischi derivanti dai cambiamenti climatici e sulle buone pratiche adottate dalla comunità dei cercatori.
Ampio spazio è stato dedicato anche alla formazione e sensibilizzazione, con progetti che hanno coinvolto sia le scuole che le fiere piemontesi. Tra questi, un corso per nuovi giudici di analisi sensoriale, attività didattiche rivolte ai più giovani e iniziative per la diffusione della cultura del tartufo. Di particolare rilievo anche l’adozione di un protocollo di qualità certificato in blockchain, realizzato in collaborazione con Var Group, e la partecipazione al progetto nazionale sulla trasmissione dei saperi tradizionali legati alla cerca, culminato con il documentario “Storie di alberi, cani e cercatori”.
Il nuovo consiglio di amministrazione sarà ora chiamato a proseguire lungo questo solco, valorizzando ulteriormente la cultura tartufigena e ampliando le attività anche in ambiti strategici come la gastronomia locale e la promozione dei tartufi neri.
Nel cuore dell’Umbria, a Trevi, il tartufo non è solo un pregiato ingrediente gastronomico, ma un simbolo identitario che affonda le sue radici nella storia locale.A testimoniarlo è il libro “Storia del tartufo a Trevi dal Quattrocento a San Pietro a Pettine”, scritto dallo storico Stefano Bordoni.Questa pubblicazione inaugura la collana editoriale “Produzioni Trevane”, nata con l’obiettivo di esplorare e divulgare la storia delle eccellenze produttive del territorio, partendo proprio dal tartufo.
Il volume, presentato a fine maggio, ripercorre secoli di tradizione, evidenziando come il tartufo sia stato parte integrante della vita agricola e gastronomica trevana fin dal Quattrocento.La pubblicazione è stata resa possibile grazie al contributo della Tenuta San Pietro a Pettine, storica azienda agricola situata sulle pendici dei colli di Trevi.La tenuta è rinomata per la produzione di tartufi di alta qualità e per il suo impegno nella promozione delle tradizioni locali.
Fondata nel 1948, la Tenuta San Pietro a Pettine è oggi guidata da Carlo Caporicci, che ha ereditato la passione per il tartufo dallo zio, pioniere nella lavorazione e conservazione di questo pregiato fungo.La tenuta si estende su oltre 2000 ettari di tartufaie protette, dove si coltivano diverse varietà di tartufo, tra cui il bianco pregiato (Tuber magnatum pico) e il nero pregiato (Tuber melanosporum).La raccolta avviene con l’ausilio di cani addestrati, nel rispetto dell’ambiente e delle pratiche sostenibili.
Oltre alla produzione di tartufi, la Tenuta offre esperienze immersive come la caccia al tartufo, guidata da esperti cavatori e dai loro fedeli cani.Queste escursioni permettono ai visitatori di scoprire i segreti della ricerca del tartufo, seguite da degustazioni che ne esaltano le proprietà aromatiche e gustative.
Con la pubblicazione del libro di Bordoni e le iniziative della Tenuta, Trevi riafferma il suo legame profondo con il tartufo, celebrando un patrimonio culturale e gastronomico che continua a evolversi, mantenendo vive le tradizioni e guardando al futuro con passione e dedizione.
Il progetto editoriale, infatti, nasce con l’intento di fornire un punto di riferimento solido e fruibile per approfondire il legame profondo tra Trevi e il tartufo, evidenziando quanto questa eccellenza sia intrecciata alla storia, alla cultura e allo sviluppo economico del territorio. Allo stesso tempo, il volume rappresenta un ponte tra tradizione e contemporaneità, offrendo una narrazione capace di trasmettere alle future generazioni il valore e il significato di un’eredità ancora viva.
In Sardegna i tartufi crescono grazie… alle pecore: al via il progetto Tastos
Tartufi e pecore: non è il titolo di un nuovo piatto gourmet, ma l’inedito abbinamento su cui punta la Sardegna per valorizzare il proprio tartufo, ancora poco noto rispetto a quello piemontese o umbro. L’idea innovativa arriva dal progetto Tastos (Tartuficoltura Sarda Tecnologie Orientate alla Sostenibilità), nato nell’ambito del Programma di sviluppo rurale con il supporto del Cnr, dell’Università di Sassari e di aziende locali.
Cuore del progetto è la creazione di tartufaie con alberi micorizzati – in particolare noccioli – coltivati in vivaio. E per mantenere pulito il sottobosco, condizione essenziale per far fruttare i tartufi, entrano in scena le pecore: brucando impediscono la crescita eccessiva dell’erba e favoriscono l’esposizione alla luce.
Il pascolo, pratica quasi assente nelle tartufaie italiane, potrebbe così diventare un modello sostenibile per l’ambiente e l’economia locale. Obiettivo: ridurre i costi, abbattere l’impatto ambientale e creare una nuova filiera sarda del tartufo e delle nocciole.
Tartufo protagonista in Toscana: a Nebbiano il via a un progetto europeo per l’agroforestazione
Non solo vino e olio. A brillare tra le eccellenze dell’Empolese Valdelsa è ora anche il tartufo, protagonista assoluto del progetto europeo “Cosmos”, che ha preso il via il 4 giugno nell’azienda agricola “Il Sole di Nebbiano”. Il kick-off meeting ha riunito ricercatori e agricoltori da otto paesi del Mediterraneo, con l’obiettivo di sviluppare strategie agroforestali sostenibili combinando tartufi, piante aromatiche, alberi da frutto e specie mellifere.
L’Italia partecipa con un unico sito dimostrativo, proprio a Nebbiano, scelto per testare tecnologie innovative come sensori, irrigazione smart e agricoltura di precisione.
“Essere stati selezionati è un riconoscimento importante per il nostro lavoro e per il territorio”, spiegano Diego e Francesco Tomasulo, titolari dell’azienda. Il progetto, coordinato con l’Università di Siena e il CNR, punta a rafforzare la biodiversità, valorizzare il tartufo bianco pregiato e offrire nuove opportunità di sviluppo locale. I risultati saranno diffusi online, sui social e attraverso riviste scientifiche.
Raccolta illegale di tartufi ad Aielli, sanzione da 4.500 euro
I carabinieri del Nucleo Parco di Gioia dei Marsi, in provincia dell’Aquila, appartenenti al comando per la Tutela Forestale e dei Parchi, sono intervenuti in località Fosso Rovito – La Vella, nel territorio comunale di Aielli, a seguito di una segnalazione arrivata alla centrale operativa 1515 dell’Aquila. I militari hanno colto in flagranza un uomo intento alla raccolta di tartufi in violazione della normativa vigente.
All’individuo sono state contestate diverse infrazioni previste dalla legge regionale 66 del 2012: raccolta in periodo vietato, mancato pagamento della tassa di concessione e uso di attrezzi non conformi.
I carabinieri forestali hanno elevato una sanzione amministrativa pari a 4.500 euro e disposto il sequestro dei tartufi e dell’attrezzatura utilizzata. L’operazione rientra nell’ambito delle attività di controllo mirate alla tutela dell’ambiente e alla valorizzazione del lavoro regolare dei tartufai. I controlli proseguiranno anche nei prossimi giorni.
L’obiettivo di questo scritto, per quanto un po’ polemico nel titolo, è cercare di dare un inquadramento logico ai tanti discorsi fatti e sentiti. Ultimamente purtroppo stiamo assistendo ad una pericolosa deriva nella quale invece di dare spazio alle competenze acquisite ed alle sperimentazioni svolte si preferisce riferire solo pareri, pensieri, idee o sensazioni, in pratica un minestrone infernale dentro il quale si può trovare di tutto. La tutela del tartufo bianco è dispersa là dentro, sconosciuta ai più per senso e finalità. Non stupisce quindi che non si riesca a “dare le gambe” a progetti di tutela efficaci perché se l’obiettivo non è chiaro allora sarà impossibile comprendere anche come fare a raggiungerlo.
Tartufaia naturale censita ma ancora priva di normativa di tutela. Abbattibile senza iter autorizzativo come una qualsiasi pioppeta.
Prima di tutto per affrontare il tema della tutela delle tartufaie di bianco pregiato è importante prendere consapevolezza di due evidenze empiriche che sono di facile osservazione nel mondo reale:
la prima è che le tartufaie non sono isole, ma fanno parte di un territorio dove accadono molte cose;
la seconda e che concetti come tutela e produzione vanno a braccetto, ma non sono la stessa cosa. Ne consegue che le tartufaie naturali a raccolta riservata, da sole e per quanto ben gestite, non possono garantire nel tempo la conservazione della risorsa.
Evidenti i danni irreversibili al suolo tartufigeno dovuti al cantiere di lavoro non appropriato
Tartufaie controllate e habitat di tutela. Concetti diversi e funzioni diverse.
La tartufaia controllata prevista dalla norma regionale e nazionale persegue il miglioramento produttivo della tartufaia che sta alla base dello “scambio” con l’esclusività della raccolta. L’interesse per migliorare la produzione della tartufaia è tanto maggiore quanto più è scarso, dal punto di vista economico[1], il bene prodotto (es. Tuber magnatum). La sfera di interesse è sostanzialmente di tipo privato.
Taglio di aree tartufigene, in regioni prive di censimento delle aree di produzione, nei pressi di un lago
Quando invece parliamo di habitat di tutela del tartufo bianco [2], l’aspetto rilevante è la conservazione della risorsa (tutela). Infatti identificare gli habitat di tutela significa definire gli ambienti di crescita del tartufo, che sebbene geograficamente distanti, sono accomunati dalle stesse fragilità. Nessun dottore al mondo può dare la cura giusta se non conosce la malattia, ne deriva che conoscere le fragilità degli ambienti di produzione del T.magnatum schematizzandole per “ambienti-tipo” sia il primo passo fondamentale da fare. Gli ambienti accumunati dalle stesse fragilità hanno infatti le medesime esigenze di tutela. Definire questi ambienti “tipo” significa anche cogliere le criticità o le minacce esterne ai siti di produzione. Va da sé che tutelare la risorsa a livello regionale è un interesse prevalentemente pubblico.
Inquinamento per scarico reflui oleari a monte della tartufaia controllata
Tradotto in soldoni significa che se non decolla in ciascuna regione un progetto regionale di tutela delle superfici tartufigene di effettiva produzione[3], le tartufaie controllate non possono svolgere da sole un ruolo efficace nella tutela della risorsa.
Di habitat di tutela ne possono esistere vari per il T.magnatum, ed ovviamente vanno definiti nello specifico per ciascuna regione.
In alcune tipologie di questi ambienti, là dove è minore la pressione delle attività antropiche, la gestione della singola tartufaia può corrispondere alla tutela di quell’habitat, ma non è possibile sposare questa equivalenza in generale, in quanto vi sono molti casi, reali e da me osservati negli anni, nei quali la compromissione della tartufaia (anche controllata) avviene per fattori esterni ad essa.
Gravi danni in tartufaie controllata di fondovalle per mancata regimazione delle acque a monte
Ne sono esempi evidenti:
La necessità di accordi territoriali tra Associazioni tartufai e Consorzi di bonifica per gli habitat di crescita di fondovalle (nello specifico habitat di tutela di fondovalle aperto), dove le attività dei Consorzi sui corsi d’acqua in loro gestione esercitano una competizione funzionale sugli ambienti di produzione del tartufo bianco pregiato, con danni talora notevoli. Risolvere questa specifica fragilità, dovuta ad un fattore esterno alla tartufaia (l’attività del Consorzio di Bonifica che ha come finalità quella della sicurezza idraulica), richiede specifici protocolli. Il termine protocollo non deve intimorire perché non sono altro che norme volontarie di tutela che vengono decise tra le parti e siglate tramite accordi e convenzioni. Queste si concretizzano:
– nel calibrare gli interventi, magari con l’assistenza delle Associazioni;
– nell’inserimento di specifiche contrattuali di tutela nei contratti di appalto quali ad esempio limitare il cantiere di lavoro (sono previsti nel contratto soltanto interventi manuali con attrezzature leggere quali motosega e verricello) in modo da evitare danni irreparabili al suolo tartufigeno;
– escludere appositamente da parte del Consorzio la cessione gratuita della legna alla ditta di taglio, in modo da non favorire tagli superiori allo strettamente necessario contrastando contemporaneamente il prelievo, sempre preferito, delle specie quercine (simbionti) a fronte del rilascio di Robinia (infestante);
Importanza del reticolo minuto e gerarchizzato di regimazione delle acque superficiali anche negli impianti viticoli posti sui versanti.
2) Il danneggiamento di tartufaie controllate in ambienti di tutela di fondovalle chiuso per:
– interramento dei fossi e frane che, in ragione del maggior numero di eventi estremi, si realizzano più facilmente per la mancata regimazione delle acque a monte. E’ noto a tutti quelli che operano nelle campagne come la perdita di un reticolo minuto e gerarchizzato di regimazione delle acque meteoriche nelle coltivazioni a monte provochi la riduzione dei tempi di corrivazione delle acque con aumento del loro carico solido; Si possono perdere molte tartufaie naturali, anche controllate, in queste situazioni.
– degrado del sito (sebbene gestito come tartufaia controllata) per utilizzo come vie di esbosco da parte di attività agro-forestali limitrofe – con danneggiamento del suolo, deviazione del corso d’acqua dovuto al passaggio di grandi mezzi a ruote, interruzione dei fossi per effettuare il passaggio dei mezzi senza che sia ripristinato l’ambiente a fine lavori.
– mancanza di acqua al Fosso nei periodo estivo dovuta anche alla perdita dei canali di adduzione, ne rendono testimonianza la progressiva rarefazione dei salici bianchi, ormai residuali e non più produttivi in molti ambienti tartufigeni.
Questi semplici esempi chiariscono a mio avviso che la tutela della tartufaia non è garantita dalla manutenzione, per quanto accurata, della sola tartufaia!
Ma allora, se le tartufaie controllate, da sole, non possono garantire la tutela della risorsa, quali sono le strade da percorrere?
Teoricamente il percorso è semplice, nella pratica è un’attività che ciascuna regione italiana dovrebbe sposare con convinzione, con obiettivi chiari e strumenti aderenti allo scopo.
Il primo punto è la conoscenza della risorsa che si vuole tutelare. Per questo, in ogni Regione, alle molte iniziative che riguardano la caratterizzazione del prodotto, la sua valorizzazione ed il suo mercato si dovrebbero affiancare:
la mappatura delle aree di effettiva produzione tartufigena comprensiva di censimento delle aree a raccolta riservata;
l’individuazione all’interno del panorama di cui sopra degli ambienti o habitat di tutela che ci consentono di avere chiare le esigenze di tutela per ciascun ambiente-tipo in una determinata Regione;
Il secondo punto è l’individuazione degli strumenti di tutela:
l’inserimento di norme dedicate alle aree tartufigene individuate (norme vincolanti) nei regolamenti di attuazione delle leggi forestali per contrastare i tagli devastanti delle tartufaie naturali così come gli esboschi selvaggi. Inutile dire che siamo indietro anni luce, anche perché se non sai dove applicarle (la scala della mappatura deve potersi sovrapporre al catastale!) è impossibile dare prescrizioni idonee, così come è importante che i tagli delle aree riparie, anche se costituite soltanto da pioppi siano oggetto di autorizzazione (altrimenti come puoi dare indicazioni specifiche per la loro tutela nel momento del taglio?);
nell’inserimento di norme dedicate alle aree tartufigene negli strumenti urbanistici dei Comuni (per le aree tartufigene che non possono essere tutelate dalle norme forestali)
concertazione di norme volontarie (protocolli di intervento tartufo-compatibili) con tutti quegli attori che operano negli ambienti tipici di produzione del Magnatum (es. Consorzi di bonifica; Enti Parco; Demanio Forestale);
incentivazione pubblica di buone pratiche tartufo-sostenibili alle aziende agricole che esercitano le loro attività nell’intorno delle aree tartufigene [4]. Il loro ruolo, sebbene esterno ed indiretto, può essere sinergico nei confronti del mantenimento della risorsa, in questo caso possiamo davvero parlare di vere e proprie “aziende comari”, che come tali meritano di essere incentivate nell’attuare comportamenti utili.
Quest’ultimo strumento di tutela, di notevole importanza per l’ambiente di produzione di fondovalle del T. magnatum, strumento sino ad oggi totalmente incompreso, merita invece di essere considerato anche in ragione del cambiamento climatico in atto.
Ormai è stato rilevato l’aumento di eventi estremi (la pioggia annua è la medesima ma concentrata in eventi di notevole intensità), così come l’aumento del numero di giorni in cui non piove (siccità).
A rigor di logica si prospettano quindi almeno due cose da fare: la prima è quella di riconsiderare l’utilità di incentivare i laghetti collinari, la seconda è regimare le acque superficiali, sia dentro sia nell’intorno della tartufaia.
E’ chiaro che gli interventi di regimazione idraulica interni alla tartufaia (ripulitura dei corpi idrici, creazione di fossette di smaltimento nelle aree produttive della tartufaia facilmente soggette a ristagni) possono essere svolti esclusivamente dai privati gestori delle tartufaie o dalle Associazioni di tartufai che operano su terreni di libera cerca, ma invece una revisione straordinaria del reticolo di smaltimento delle acque superficiali dovrebbe essere incentivata, in special modo in quelle aziende che per loro collocazione potrebbero svolgere un ruolo comare per il T. magnatum. Nessuno può riportare in vita i mezzadri che uscivano di casa con il pastrano e la zappa durante il temporale per indirizzare efficacemente l’acqua piovana in eccesso, ma mi volete dire che negli anni dell’intelligenza artificiale non siamo in grado di risolvere problemi banali come questi? Vogliamo evitare il dissesto idrogeologico, salvaguardare la biodiversità e il T.magnatum? E allora bisogna gestire l’acqua! Mettere in condizioni le aziende agricole che producono nell’intorno delle pasture di bianco pregiato di rivedere la progettazione ed il funzionamento di tutto il loro reticolo di smaltimento delle acque superficiali e sotterranee, inoltre incentivare l’acquisto di una attrezzatura di base per manutenere quanto hanno revisionato porterebbe vantaggi certi per gli habitat produttivi di fondovalle. Ma non solo. C’è dell’altro.
Spesso quando sento parlare di tutela mi sembra di vedere una partita di calcio giocata tutta in difesa. Tutti sanno che raramente si vincono le partite di calcio giocando soltanto in difesa, perché risulta una strategia molto rischiosa, ed è ovvio che per vincere una partita sia necessario giocare anche all’attacco.
Nel caso del T.magnatum giocare all’attacco significa soltanto una cosa è cioè che le tartufaie di bianco non vanno soltanto conservate in modo che si rinnovino, ma vanno anche moltiplicate nello spazio disponibile: vuol dire che dobbiamo fare in modo di aumentare gli ambienti potenziali di fruttificazione del bianco pregiato almeno nei territori storicamente produttivi!
Ripristinando i reticoli idraulici ho verificato che nel giro di pochi anni proprio su questi si ricreano spontaneamente le comunità vegetali tipiche degli ambienti tartufigeni e con le dovute eterogeneità e stratificazioni. La natura è meravigliosa.
Aumentare oggi il numero di ambienti naturali di potenziale fruttificazione futura è importante, in quanto sappiamo che il T.magnatum non è un fungo competitivo, ha bisogno di tempi lunghi per affermarsi sulle comunità fungine esistenti o di luoghi favorevoli soltanto a lui.
La Regione Toscana ha avviato in questa ultima amministrazione il progetto di tutela del T.magnatum, concludendo nel 2023 il primo punto di cui abbiamo parlato con uno studio di prossima pubblicazione in grado di dare linee guida e proporre definizioni. Tutti i lavori sono perfettibili, ma intanto si dispone di un quadro (descritto e interpretato) sul quale poter lavorare con gli strumenti di tutela, dei quali abbiamo un bisogno urgente ed estremo. Il lavoro può costituire in ogni caso un punto di riferimento per tutte le altre Regioni, dando seguito alle tante riflessioni portate avanti nell’ambito del Tavolo di Filiera e nel Piano che ne è uscito al suo termine nel 2020.
[1] Bene economico scarso: un bene per il quale la disponibilità è sensibilmente inferiore alla quantità richiesta dal mercato.
[2] Conoscere per tutelare: relazione di aggiornamento della mappatura e censimento delle aree tartufigene in Toscana. Regione Toscana a cura di L.Gardin e L.Giannetti – 2024
[3] Le aree di effettiva produzione non sono aree “vocate”, non sono quelle “potenzialmente” produttive. Ma non sono neppure quelle più produttive all’attualità, magari con produzioni costanti e concentrate. Hanno una definizione specifica che consente di censire quanto è importante tutelare, ma evitando di imporre vincoli oltre il necessario.
[4] L’indennità “a pianta” prevista in Piemonte per il mantenimento delle piante tartufigene costituisce un caso particolare e limite in quanto direttamente finalizzata al mantenimento del soprassuolo simbionte, tuttavia si inserisce in questo tipo di incentivazione.
Modificato il calendario per la raccolta dei tartufi, disciplinata in Liguria dalla legge regionale del 1° marzo 2022. La norma prevede uno specifico calendario per la raccolta delle diverse specie, ma è anche previsto che la Regione, su parere di un centro di ricerca specializzato, possa con proprio atto variare il calendario regionale di raccolta in relazione all’andamento delle condizioni meteo climatiche, al fine di preservare e salvaguardare il patrimonio tartufigeno.
In tal senso, con decreto del Direttore Generale della Direzione Generale Turismo, Agricoltura e Aree Protette n. 5687/2024, su proposta dell’Associazione Tartufai e tartuficoltori liguri con sede a Millesimo e sulla base del parere favorevole espresso dal Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV) dell’Università degli studi di Genova, è stato modificato il calendario di raccolta dei tartufi, stabilendo in buona sostanza lo spostamento temporale dell’inizio delle attività di raccolta per tutte le specie commerciabili e la sospensione totale dell’attività tra il 1° maggio e il 31 maggio e tra il 1° settembre ed il 25 settembre al fine di perseguire, con il fermo biologico, la salvaguardia dell’ecosistema tartufigeno.
«Tale decisione si è resa necessaria in quanto l’andamento climatico degli ultimi anni, caratterizzato da una crescente variabilità con scarse precipitazioni nel periodo primaverile-estivo, siccità talvolta prolungata e conseguente aumento delle temperature medie, rappresenta un rischio concreto per la produzione di tartufo spontaneo, che non riesce a svilupparsi adeguatamente nel periodo considerato tipicamente di maggiore accrescimento – commentano dall’Associazione Tartufai e Tartuficoltori liguri-. Rispetto al tradizionale periodo di raccolta, infatti, la piena maturazione del tartufo risulta ad oggi ritardata di alcune settimane.
Inoltre, ponendo l’accento sul tema sempre più centrale della conservazione della biodiversità, tale decisione è orientata anche all’adozione di pratiche sostenibili nell’utilizzo delle risorse naturali evitandone lo sfruttamento eccessivo e irresponsabile, che potrebbe portare ad una grave perdita di habitat e conseguentemente alla scomparsa della specie. Prevedendo dunque periodi di divieto di raccolta, risulta possibile permettere alle specie di concludere il naturale ciclo vitale consentendo un ottimale sviluppo del micelio tartufigeno in modo che il medesimo si trovi nelle migliori condizioni possibili per una buona fruttificazione e maturazione». Milena Armellino