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EDITORIALE: Il futuro scavato tra le radici

*di Pietro Guida

Tra stagioni più umide, norme da aggiornare e un mercato sempre più globale, la comunità del tartufo ha davanti a sé una scelta: difendere i boschi o accontentarsi delle quotazioni.

Siamo tornati nei boschi a mezzanotte, come sempre. I cani fiutano, il terreno respira, e il silenzio di ottobre trattiene il segreto che tutti cerchiamo. Quest’anno le piogge hanno ridato fiducia ai trifolau e ai cuori impastati di terra. Ma sarebbe troppo comodo illuderci. La stagione può anche sorridere, il listino può brillare, eppure il destino del tartufo non si misura al chilo. Si misura alla radice.
Il 2025 ci mette davanti tre verità scomode.

La prima: il clima detta il ritmo. Non basta contare i millimetri caduti a fine estate. Bisogna proteggere quel mosaico delicato che fa nascere un buon tartufo: alberi giusti, suoli vivi, micelio in pace. Le ricerche lo ripetono senza romanticismi: le nicchie ecologiche migrano, i confini si spostano. Se vogliamo continuare a chiamare “nostri” i tartufi che raccontiamo da generazioni, dobbiamo curare i boschi come si cura una madre anziana. Non a spot, ma con piani veri. Corridoi ecologici, gestione idrica, difesa dei suoli, lotta agli incendi, tutela delle tartufaie naturali e sostegno a quelle coltivate che ancora rispettano la foresta.

La seconda: le norme arrancano. La legge quadro ha garantito un’ossatura al comparto, certo, ma il mondo è cambiato. Servirebbero strumenti aggiornati su tracciabilità, contrasto ai raggiri, formazione dei cercatori, regole omogenee per la raccolta sostenibile, e un perimetro chiaro tra tutela dell’habitat e iniziativa privata. Alcune regioni hanno mosso passi pragmatici; a livello nazionale si discute di riforma. È il momento di passare dai convegni agli articoli di legge, senza ideologie. La micorriza non vota, ma decide se fruttificare.

La terza: il mercato non aspetta. Spagna, Australia e altri attori presidiano l’offerta con contro-stagionalità e investimenti tecnici. La Cina continua a rifornire il segmento d’ingresso. In questo scenario l’Italia vince solo se mette in campo ciò che nessuno può replicare: paesaggi, biodiversità, cultura gastronomica e un capitale umano unico, fatto di famiglie, cani e boschi storici. Il prezzo è un effetto; la reputazione è la causa. Difendiamo la seconda, e il primo seguirà.

Che cosa proponiamo, allora, come comunità?
Un patto di foresta. Comuni, consorzi, proprietari, associazioni di cercatori e università: adottiamo micro-piani di gestione per le aree tartufigene, con obiettivi misurabili su suolo, acqua, rinnovamento arboreo e biodiversità. I contributi pubblici devono premiare chi certifica pratiche ecologiche e trasparenza in filiera.

Una tracciabilità che racconta. QR code unici, certificazioni serie, storie verificabili dal bosco al piatto. Non marketing vuoto, ma dati accessibili che proteggano il consumatore e valorizzino chi lavora bene.

Scuole di cerca e di etica. Formazione obbligatoria, educazione al rispetto dei boschi, sanzioni per chi danneggia. Il futuro del tartufo passa anche dall’orgoglio professionale di chi lo cerca.

Turismo sobrio, bellezza intera. La festa è giusta se non consuma il luogo che la rende possibile. Eventi e fiere dovrebbero diventare laboratori di sostenibilità, non solo vetrine.

Ricerca applicata. Irrigazione di soccorso mirata nelle tartufaie coltivate, monitoraggi continui di micorrize e suolo, reti meteo locali, sperimentazione su specie ospiti e consociazioni. Scienza al servizio della tradizione.

Se non lo faremo, continueremo a rincorrere i picchi di prezzo come miraggi nel deserto. Se lo faremo, avremo ancora notti di ottobre da raccontare ai nostri figli, con la terra sotto le unghie e la gioia di un profumo che non tradisce.

Il tartufo non è un bene rifugio. È un bene di relazione: relazione tra albero e fungo, tra uomo e bosco, tra comunità e paesaggio. La nostra rivista nasce per custodire questa relazione. Quest’anno, più che mai, chiediamoci non quanto venderemo, ma che eredità lasceremo sotto la lettiera.

Il resto verrà. Come sempre, dal basso. Dalle radici.

EDITORIALE: Il Tartufaio Italiano sbarca online: una nuova stagione per la nostra rivista

di Pietro Guida

Questo numero del Tartufaio Italiano segna l’inizio di una nuova stagione. Per la prima volta nella nostra storia, la rivista si apre al mondo digitale: un passo importante, frutto della volontà di raggiungere un pubblico più ampio e di rendere la nostra voce sempre più autorevole e accessibile. La transizione al formato online non significa perdere il legame con la nostra storia e con i nostri soci, anzi. I membri della FNATI avranno una corsia preferenziale: potranno accedere in anteprima ai contenuti, interagire con la redazione, contribuire con esperienze, domande, osservazioni.

La digitalizzazione, in questo senso, non è una moda, ma una scelta strategica. Vuol dire permettere anche a chi vive in territori non serviti dalla distribuzione cartacea, o a chi cerca aggiornamenti rapidi e consultabili ovunque, di sentirsi parte di questa grande famiglia. Significa costruire uno spazio di informazione e confronto aperto, aggiornato, capace di interpretare i cambiamenti in corso nel mondo del tartufo con tempestività, passione e competenza.

Un numero ricco, tra attualità e approfondimento

Il numero che tenete tra le mani (o che scorre sotto i vostri occhi digitali) è uno dei più densi e ricchi degli ultimi anni. Al centro, lo scorzone, il tartufo estivo, che sempre più dimostra potenzialità commerciali e gastronomiche ancora da esplorare. A questo tema dedichiamo un doppio approfondimento, tra analisi di mercato e spunti creativi per la cucina professionale.

Non manca l’attualità normativa, con la presa di posizione della FNATI sul recente decreto legge che rischia di penalizzare la libera cerca e l’identità dei cavatori: “è una legge calata dall’alto” è il monito che emerge forte da queste pagine. In questa direzione si muove anche l’audizione al Senato del nostro presidente Fabio Cerretano sul DDL 1412, dove ancora una volta abbiamo chiesto che non venga compromessa la storia e la passione di chi vive il bosco da protagonista.

Dall’Abruzzo alla Puglia, la rivista esplora i territori: Pescina si fa crocevia del dibattito nazionale, mentre nel Sud si registrano nuove scoperte con ben 9 varietà autoctone di tartufo individuate tra Gargano e Salento.

Non mancano le note dolenti: il racconto della “guerra del tartufo” con l’inquietante processo per l’uccisione di 11 cani da ricerca ci ricorda quanto alta sia la posta in gioco.

Infine, uno spazio all’editoria e alla cultura: il nuovo libro di Stefano Bordoni, la conferma di Mauro Degiacomi alla guida del Centro nazionale Studi Tartufo e un focus sul Tuber magnatum e sulla necessità di tutelarlo con maggiore consapevolezza.

Questo numero è una dichiarazione d’intenti: informare, stimolare, difendere e raccontare. Ora anche online.
Buona lettura.