Un manuale per coltivare i tartufi: l’eredità scientifica di Mattia Bencivenga diventa guida pratica per tecnici e agricoltori

Una sintesi di oltre quarant’anni di ricerca e sperimentazione, tradotta in uno strumento pratico per chi lavora sul campo. È questo il cuore del manuale La coltivazione pratica dei tartufi, presentato a fine settembre nell’aula Magna del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia.

Il volume, firmato dal professor Mattia Bencivenga, già ordinario di Botanica ambientale e applicata dell’ateneo perugino, insieme a Gabriella Di Massimo e Matteo Galletti, nasce dall’esigenza di mettere ordine in un settore in continua evoluzione, ma spesso frammentato nelle pratiche agronomiche.

“Negli ultimi decenni la tartuficoltura ha compiuto passi enormi – ha spiegato Bencivenga – ma molti risultati scientifici non sono stati ancora recepiti pienamente dagli operatori. Serviva un manuale semplice, chiaro e aggiornato, che potesse essere utile ai tecnici e leggibile anche da chi non è specialista”.

Il contenuto del manuale

Con le sue oltre 180 pagine illustrate, il libro descrive in maniera dettagliata la coltivazione delle principali specie di tartufo commercializzabili in Italia, in base alla legge quadro 752 del 1985: dal bianco pregiato al nero pregiato, dallo Scorzone al tartufo uncinato, fino alle varietà meno note come il nero liscio e l’ordinario.

L’obiettivo è duplice: fornire agli agronomi e ai vivaisti un quadro tecnico di riferimento e offrire ai tartuficoltori una guida concreta per progettare e condurre correttamente le tartufaie coltivate.

Una storia di ricerca lunga quarant’anni

La presentazione è stata anche l’occasione per ripercorrere le tappe della tartuficoltura italiana, che proprio a Perugia ha mosso i primi passi. “Tra il 1975 e il 1977 – ha ricordato Bencivenga – insieme al professor Bruno Granetti ci avvicinammo al tartufo dopo aver saputo che in Francia avevano iniziato a coltivare il nero pregiato. Eravamo inesperti, ma iniziammo a fare prove di micorrizazione e nel 1980 impiantammo a Volperino la prima tartufaia sperimentale in Italia”.

Da allora la ricerca non si è mai fermata, alimentata anche dall’impegno dei suoi allievi. Gabriella Di Massimo, che ha dedicato trent’anni allo studio e alla gestione di impianti tartufigeni, e Matteo Galletti, vivaista specializzato in nuove tecniche di produzione delle piante micorrizate, hanno contribuito alla stesura del manuale portando esperienze pratiche maturate sul campo.

Un settore strategico per l’Umbria e non solo

“Il tartufo è un prodotto richiesto in tutto il mondo e, se coltivato correttamente, garantisce reddito alle aziende e alle comunità locali”, ha sottolineato Di Massimo. Non a caso l’Umbria, grazie anche all’eredità scientifica di Bencivenga, è oggi una delle regioni più attive nella tartuficoltura.

Il futuro del settore guarda però anche a sfide ancora aperte. Come ha ricordato Galletti, il tartufo bianco pregiato resta non coltivabile, ma le nuove tecniche vivaistiche e l’applicazione della biologia molecolare hanno permesso di produrre le prime piante micorrizate. “Non abbiamo ancora tutte le conoscenze necessarie per la sua coltivazione – ha spiegato – ma le sperimentazioni avviate potranno gettare le basi per un traguardo che sarebbe storico”.

Un ponte tra scienza e pratica

Il manuale non è solo un’opera tecnica, ma rappresenta la sintesi di una comunità scientifica e produttiva che, partendo dall’Umbria, ha contribuito a fare dell’Italia uno dei poli mondiali della tartuficoltura.

Un testo destinato a diventare punto di riferimento per tecnici, agronomi e tartuficoltori, ma anche un lascito di conoscenze a chi vuole continuare a scrivere la storia di un prodotto che, con la sua rarità e il suo valore, rappresenta un vero e proprio patrimonio culturale ed economico.

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