Autore: Giorgia DAscanio

Scorzone, il tartufo dell’estate può cambiare passo

Giugno segna l’inizio della stagione dello Scorzone, il tartufo nero estivo (Tuber aestivum), da sempre familiare ai tartufai e ai coltivatori. Ma oggi questo prodotto, per anni relegato a ruoli minori, si sta prendendo una rivincita silenziosa ma concreta.
Non è più il fratello “minore” del tartufo nero invernale o del bianco pregiato: è un’opportunità a sé, capace di intercettare le esigenze di un mercato in evoluzione e di una ristorazione sempre più curiosa e tecnica.

Da tartufo “povero” a risorsa strategica

Fino a qualche tempo fa, lo Scorzone era considerato un tartufo di ripiego. Poco aromatico, troppo delicato, venduto spesso sottoprezzo o trasformato in condimenti generici.
Oggi, però, il contesto è cambiato. Da un lato, gli chef hanno imparato a valorizzarne le caratteristiche leggere e versatili; dall’altro, la domanda si è ampliata, non solo in Italia ma anche all’estero, dove la stagionalità estiva e il costo accessibile lo rendono interessante per l’export e la grande distribuzione di qualità.

Ma c’è di più. La sua disponibilità in un periodo “vuoto” per gli altri tartufi lo rende una presenza stabile nelle cucine tra giugno e settembre. Per molti operatori del settore, rappresenta una fonte di reddito non secondaria e un banco di prova per sperimentare nuovi canali, nuovi formati, nuove narrazioni.

Cosa cercano davvero gli chef

Parlando con ristoratori e buyer, emergono richieste sempre più precise. Non basta il tartufo: serve il tartufo giusto. E per lo Scorzone, questo significa uniformità nella pezzatura, presentazione curata e freschezza garantita.
I clienti finali vogliono affettarlo a tavola, giocare con il profumo mentre il piatto arriva. Per questo il prodotto deve essere esteticamente pulito, facilmente lavorabile, pronto all’uso.

E poi c’è un tema sempre più centrale: la tracciabilità. Gli chef vogliono sapere da dove arriva quel tartufo, in che bosco è stato trovato, da chi. Vogliono raccontarlo, valorizzarlo nel menu, farne un ingrediente con un’identità. È qui che si apre lo spazio per chi raccoglie, seleziona e vende.

Lavorazione, packaging, racconto: così lo Scorzone entra nei menu

Per chi opera nella filiera, lo Scorzone non è solo da vendere fresco. Oggi serve diversificare l’offerta, anche attraverso piccole lavorazioni che ne aumentino la praticità per la cucina professionale.

Le proposte che funzionano?

  • Kit sottovuoto da 10 o 20 grammi, calibrati per una porzione, ideali per ristoranti e bistronomie.

  • Affettato conservato in atmosfera modificata, per menu più snelli o piatti fuori carta.

  • Creme fresche, con percentuali alte di tartufo vero, pronte per antipasti, ripieni, paste mantecate.

Anche i piccoli omaggi o i “campioni” dati a chef emergenti, scuole di cucina, eventi food possono aprire porte inaspettate. Un buon tartufo assaggiato nel contesto giusto crea relazione, memoria, futuro.

Il valore delle parole: come vendere meglio raccontando meglio

Il modo in cui si presenta il prodotto è spesso decisivo. Non basta etichettarlo come “tartufo estivo”. Il mercato, oggi, ha fame di storie. Una provenienza precisa, un habitat unico, la descrizione di una giornata di raccolta con il cane: tutto questo rende un prodotto riconoscibile, differente, credibile.

Per esempio, “Scorzone dell’Appennino Umbro, raccolto nei boschi di roverella a inizio stagione” parla molto di più di un generico “tartufo nero estivo fresco”.
E se a questo si unisce un QR code con foto, video o una scheda botanica della zona, il valore percepito aumenta. E con esso, il prezzo.

Estate, sì. Ma non solo.

Oggi lo Scorzone è molto più di un tappabuchi tra il nero pregiato e il bianco. È un ingrediente che ha trovato un suo spazio stabile, grazie anche a una crescente attenzione per la cucina stagionale, locale e sostenibile.
Per i professionisti del bosco, per chi coltiva o lavora il tartufo, è un’occasione concreta per rafforzare la propria offerta, fidelizzare i clienti e portare a tavola un prodotto autentico, onesto, ben raccontato.

Il mercato c’è. La qualità anche. Ora serve solo il passo in più: fare sistema, innovare, comunicare. E dare allo Scorzone il posto che merita.

Decreto legge sui tartufi, la Fnati lancia l’allarme: così si escludono i cavatori, è una legge calata dall’alto

Dopo oltre quarant’anni, l’Italia si prepara a riscrivere le regole su uno dei suoi patrimoni più preziosi: il tartufo. Il nuovo disegno di legge 1412, attualmente in discussione al Senato, punta a dare un quadro normativo organico alla cerca, raccolta, coltivazione e commercializzazione dei tartufi. Il testo, promosso dal senatore Giorgio Bergesio, si ispirerebbe ai modelli di Francia e Spagna, introducendo regole su formazione obbligatoria, tracciabilità, concessioni su riserve private e inasprimento dei controlli.

Il provvedimento, tuttavia, sta generando numerose perplessità contrarietà tra gli operatori del settore. Una delle voci più critiche è quella di Fabio Cerretano, presidente della Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (Fnati), che ha espresso preoccupazione per le conseguenze del decreto sulle comunità locali e sulla tradizione della cerca libera.

«Come Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani riteniamo che il nuovo decreto legge in discussione al Senato, se così passasse, creerebbe più danni che benefici – ha dichiarato Cerretano – c’è un problema di fondo: viene completamente ignorato il ruolo dei tartufai e quindi cancellata la libera cerca, dei cavatori, e delle associazioni che da decenni si occupano della salvaguardia dell’ambiente e della raccolta sostenibile».

Il Ddl, nella sua versione attuale, riconosce il tartufo come prodotto agricolo e trasforma tutto il tartufo in una coltivazione (in tartufaie private  controllate), con benefici fiscali distorsivi e incentivi inutili e dispendiosi. Praticamente il tartufo passa da fungo a patata sminuendo il prodotto stesso (senza nulla togliere alla patata). Allo stesso tempo, limita anzi annulla la cerca su terreni incolti e negli alvei fluviali, restringendo di fatto l’accesso tradizionale a molte aree oggi battute dai cavatori. Una trasformazione che, secondo molte associazioni, rischia di compromettere un equilibrio culturale e ambientale consolidato.

Cerretano si dice contrario a un modello che mette al centro solo l’aspetto produttivo e commerciale. «La Fnati ha chiesto  con forza l’apertura di un dialogo con la Commissione Agricoltura e con il Senatore Bergesio, primo firmatario, – che  tenga conto delle esigenze delle comunità locali dei tartufai e dell’ambiente. Il tartufo non è solo un prodotto pregiato, ma un patrimonio culturale e naturale che va gestito con buon senso, ascoltando chi lo conosce davvero». Anzi, abbiamo fatto di più, abbiamo consegnato, insieme ad Ati,  alla Commissione un fascicolo di modifiche al DDL

Le preoccupazioni non arrivano solo dalla Fnati. In Piemonte, patria del Tuber magnatum Pico, i tartufai denunciano il rischio di una “privatizzazione” del territorio. Anche l’Emilia-Romagna ha chiesto modifiche al testo, temendo che la nuova legge favorisca pochi grandi proprietari e renda la cerca un’attività riservata a pochi autorizzati. Confagricoltura ha accolto con favore l’impianto generale del Ddl, in particolare per le tartufaie coltivate, ma ha chiesto che si mantenga un equilibrio tra produttori, raccoglitori e ambiente.

Fabio Cerretano insiste sulla necessità di ascoltare chi opera quotidianamente nei boschi. «Noi non siamo contro le regole – ha concluso – ma contro le regole calate dall’alto, che non tengono conto della realtà. Questo decreto rischia di trasformare il tartufo in una questione per pochi, mentre dovrebbe rimanere un patrimonio collettivo».

Il disegno di legge proseguirà ora il suo iter in Senato. Nel frattempo, il mondo del tartufo attende di sapere se le proprie istanze verranno finalmente ascoltate, o se la riforma segnerà davvero la fine di un’epoca per i cercatori italiani.

Alla data in cui scriviamo l’articolo si ritiene il dialogo, fermo e concentrato, sia il passo necessario per arrivare al risultato voluto. Nel prosieguo, se gli emendamenti presentati e accettati dai Senatori, non dovessero essere a noi graditi non escludiamo a priori nessuna forma di protesta pacifica e democratica.